Non mi troverete mai

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Sono sempre stato un curioso, un bastiancontrario e un rompicoglioni. Quando verso gli otto anni gli altri bambini iniziavano a dubitare dell'esistenza di Babbo Natale, io ero talmente più avanti da essere scettico sul fatto che potessero esistere "i genitori". Fossi nato nel '500 probabilmente sarei stato un esploratore, o un navigatore, o anche solo un mozzo o un vagabondo. Fossi nato in un futuro tipo Star Wars sarei stato una specie di Han Solo o, alle brutte, un Wookie poco peloso. Sfortunatamente sono cresciuto in un'Italia dilaniata da Vespa, dalla De Filippi, da Pippo Inzaghi. Ma sto cercando di uscirne. Ogniqualvolta l'avventura tornerà a fare visita alla mia vita, questo blog avrà qualcosa da dire. Forse.

giovedì 3 aprile 2008

Transyugo

La 206 del Callagher era piena zeppa.
Forse per questo non ci siamo fidati a lasciarla parcheggiata nella periferia di Belgrado piena di scatole e cartoni, visto che "spiegaglielo poi te a quelli che passano di lì che ci sono dentro solo scartoffie di vecchi progetti in Serbia". Però stava calando la sera, e dalla mattina avevamo attraversato praticamente tutta l'ex-Yugoslavia, e dovevamo trovare da dormire (e possibilmente anche da mangiare).
No, aspettate. Meglio se inizio da prima.

Martedì 1 aprile. Giorno tradizionalmente dedicato ai grossi scherzi (GuzzantiCit.), e in questa occasione anche giorno dei saluti ai miei colleghi di Ferrara.
Ieri con la fine di marzo finiva, d'accordo col capo, il mio contratto a progetto appositamente fatto terminare in coincidenza con l'inizio dei preparativi per un mio prossimo progetto all'estero, di cui presto scriverò.
Così di fatto il 31 è stato il mio (per ora, chissà) ultimo giorno qui in ufficio, in attesa di sapere se un giorno ritornerò a lavorare qui. Comunque il giorno successivo, primo aprile appunto, passo per salutare, che poi il pomeriggio stesso devo andare a Mantova per un'altra cosa legata al progetto che farò con un'oennegì.
Tra un saluto e l'altro, in ufficio al Callagher gli scappa di dirmi che con ogni probabilità la proposta tecnico-finanziaria per una gara di forniture (che seguiva lui) bisogna portarla FISICAMENTE in Serbia perchè il corriere internazionale non garantisce la consegna entro la scadenza...
"Cioè bisogna andare a Belgrado di persona?!?" - faccio io - "Eh sì... mi sa che dovrò partire domattina" - mi fa lilui.
"No va bé Enri, ma... muori! ...aspetta che ti accompagno, và! Dammi solo il tempo di andare a Mantova per quell'altra cosa, e poi ci mettiamo d'accordo" - Replico.
Così, dopo che sono già tornato a Mantova mi arriva la conferma che il pacco bisogna portarlo là...e mi chiede se quindi effettivamente ci vado pure io.
Torno a Fràra, ceno e dormo da lui, e la mattina si parte, spesati (e spaesati, Autocit.).
All'altezza di Rovigo, in macchina rivalutiamo l'album Californication, del 1999... e arriviamo scorrevolmente in Slovenia, che è davvero bellina... una specie di Svizzera slava... tutta verde, piccola ma piuttosto in ordine! Sosta subito dopo il confine (Sežana).
Come tutte le cose belle, finisce presto, e si arriva in Croazia... la quale ci accoglie a suon di umidità (visitali al sito www.tempodimerda.hr). Ci fermiamo a mangiare circa all'altezza di Zagabria, e poi giù sotto la pioggia verso sudest.
Altra sosta nella ridente località di Slavonski Brod, e poi sempre più giù. Se per "Croazia" pensate di primo acchito alle frequentate spiagge di Pag (dove andavo da bambino), di Novalja o delle Isole Brioni... scordatevelo! la parte interna è un'altra storia. Sarebbe improprio dire che "non ci stanno nemmeno le poiane" (utilizzando un'espressione tipicamente bassomantovana), ma solamente per l'inspiegabile affollamento di uccelli rapaci nelle campagne locali... per il resto diciamo che non ci si poteva lamentare del...traffico!
E fino anche all'entrata di Belgrado, in Serbia, in autostrada nemmeno un cane: ad esser pignoli, solo una sgusciante donnola che ha pensato bene di attraversarci la strada al ritorno, e che il Callagher ha schivato con perizia, ma senza dannarsi troppo a inchiodare o sterzare bruscamente (da cui il noto proverbio panslavo "arrivare sani e salvi fino in Serbia e poi fare un ciocco in macchina per colpa di un incauto mustelide pare anche un po' da stronzi").

Belgrado, ore 17 circa del 2 aprile: qui sì c'è traffico... Ma Enrico è una buona bussola, e poi ormai io il cirillico lo smozzico di maledetto, e leggo i cartelli alla grande! Così arriviamo all'hotel dove abbiamo appuntamento, anzi due appuntamenti. Uno, tale Bojan, ci deve ritirare il pacco; l'altro, un certo Goran (Bojan, Goran, Dejan, Dragan, Zoran... eccheppalle ma fanno tutti rima?), ci dovrebbe invece smollare lui una rata di scatoloni di documenti (vecchi progetti terminati) per la Lisa, la nostra contract manager nonché compagna di ufficio. Manco facciamo in tempo a trovare un parcheggio libero, che una macchina serba ci sfanala... come se volesse parcheggiare proprio lì. Invece, accosta e ci fa "iù mast bì Enrico end Francesco, raight?". Ma che è? La gabola era che, a nostra insaputa, la solerte Lisa aveva già informato il Goran sulle nostre fattezze, tramite foto segnaletiche infingardamente scattate a Ferrara al compleanno di una collega. Ci carica la macchina all'inverosimile e se ne va. Aspettiamo quell'altro che ci ritiri il progetto nuovo e intanto facciamo la figura degli uomini seri nella hall dello sfarzoso albergo "L.I.M.H." (the Lussureggiant Insult to the Misery Hotel, per dirla con Bisio). Arriva il nostro uomo, gli diamo il pacco ed eccoci al punto di partenza, col problema di pernottare fuori città, perchè Enrico non si fida a lasciare la macchina incustodita a Belgrado, con tutta quella mercanzia a bordo. Così giriamo i tacchi verso il confine, schiviamo la donnola di prima, e siamo ancora in Croazia, in piena campagna a scegliere l'uscita più promettente per mangiare e dormire.

1° tentativo: Lipovac, il primo paesino dopo il confine, che si compone di UNA-strada-UNA con un paio di officine e un bar in cui, già da fuori, vedevamo che ci guardavano in cagnesco del tipo "che possiamo fare per voi, o forestieri?" - Ce ne andiamo sgommando.
2° tentativo: Županja, anche questo paese loscherrimo, poco più a nord del primo. Non troviamo un hotel a pagarlo oro, ma almeno c'è una mangiatoia per camionisti (e dove parcheggiano i camion, si sa, si mangia discretamente). A parte che abbiamo dovuto ordinare in croato, il primo problema è risolto.
3° fermata: per dormire ci affidiamo all'almanacco. Vedo il cartello "Nova Gradiška", e mi ricordo - non chiedetemi come - che c'era nato un calciatore, quel Goran Vlaović medaglia di bronzo a Francia '98 e protagonista di un'insperata salvezza nel Padova del 1994/95, per giunta allenato da Sandreani. Mah, il calcio è strano, e comunque troviamo da dormire, anche grazie alla mia tenacia nel suonare il campanello della pensione DOPO l'orario di chiusura.
Il viaggio di ritorno non presenta particolari paté d'animo (Bisio, once again), e ci prendiamo pure il lusso di fermarci a pranzare in Slovenia, a Koper (Capodistria), che col sole fa tutta la sua porca figura. Così poi, il Callagher ed io possiamo girare i tacchi verso Trieste e la successiva & temutissima barriera di Mestre... stanchini ma soddisfatti.

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